(piatto tipico rustico nelle famiglie numerose, a cavallo della prima guerra mondiale)
Tratto da: “La civiltà contadina nelle 3 valli (Metauro, Foglia, Conca)”, a cura di Delio Bischi.
La ricetta seguente ci è stata fornita dall'amico Riccardo Romagna di Gabicce Mare.
Poiché oltre al profumo e al sapore ha unito una buona dose di “colore” la proponiamo tale e quale ai lettori: “Negli enormi camini delle case di campagna, nel periodo invernale, c'è sempre il fuoco acceso e, appeso alla catena, il caldaio in rame, è sempre quasi pieno d'acqua ad elevata temperatura.
A mezzogiorno “l'azdora” mette del sale nell'acqua ed aumenta il fuoco sotto il caldaio, poi si accinge a fare la sfoglia con farina e acqua. La sfoglia, non tirata tanto sottile (tre o quattro millimetri di spessore) viene tagliata a fettuccine sottili, ottenendo dei tagliolini a sezione quadrata. Quando l'acqua nel caldaio bolle, butta dentro i tagliolini e contemporaneamente “l'azdora”su dei carboni accesi, in un tegamino di terracotta, fa soffriggere dei cubettini di lardo o di pancetta grassa e quando questi sono rosolati, i tagliolini nel caldaio hanno raggiunto la cottura. L'”azdora” scopre il caldaio e versa il contenuto del tegamino sui tagliolini bollenti. Il lardo (o pancetta) bollente a contatto dell'acqua, pure bollente, produce una esplosione di vapore (“bomba”). Poco dopo, circa un minuto, tira giù il caldaio e tutto il contenuto, amalgamato, lo versa nelle terrine o pentoloni in terracotta e lo serve a tavola.
Non si sa per qual motivo (dicono oggi) è un piatto che veniva mangiato bollente: forse, con la fame che avevano in corpo, speravano di prenderne ancora un piatto, prima degli altri e prima che finissero.
Si dice che i ragazzi di allora avessero il naso sempre spellato, perchè affamati e per poterne mangiare un secondo piatto, mangiavano col risucchio e talmente in fretta che i tagliolini, nello svincolarsi dal piatto, sbattevano bollenti sul naso, producendo delle scottature che difficilmente riuscivano a guarire, perché il piatto in parola veniva mangiato quasi tutti i giorni, e quindi le ferite non facevano in tempo a rimarginare.
A proposito del risucchio raccontano che i componenti (n. 19) della famiglia di Martnett, che abitava in una casa colonica a pochi metri dalla ferrovia, un giorno, mentre erano a tavola a mangiare i tagliolini con la bomba al risucchio, non hanno sentito passare il diretto Bologna-Ancona delle ore 12,30, dal gran fragore prodotto dal risucchio”.
Sta per uscire un nutrito e gustosissimo ricettario in versi “S'l'arola” della poetessa Adele Rondini, Premio Pascoli 1979. E' scritto in dialetto metaurense, seguito dal testo in italiano. Non poteva mancare “I tajulin col chiass... scuset, col lard”.
Riportiamo il finale, quello della “bomba” e si noterà la perfetta rispondenza con la descrizione fornitaci da Riccardo Romagna che dista una cinquantina di chilometri da Adele Rondini, e in tutt'altra vallata:
Po', blumm!, d'un colp s'butèva t'la pgnatta
dov' c'er'n i tajulin in pien bolòr:
strideva 'na mulica e po' s'calmeva ...
Ma'l chiass en n'era f'nit. Prest arch'mincèva
'na mussiga striscèta, a suchiarell.
Finèl? Cuchièr sbatut sj piatt, sonèti a p'nell!
(Poi, bum!, con un colpo secco il soffritto si versava
nella pignatta di coccio dove già bollivano i tagliolini:
un breve intenso friggìo e poi si calmava...
ma il chiassso non era finito. Presto iniziava una
musica strisciata, a “succhiarello”. Finale cucchiai
percossi sui piatti, suonati a meraviglia!).